A metà del XX sec. il poeta Stanislaw Jerzy Lec asseriva che “anche il male vuol solo il nostro bene”: dopo oltre cinquantanni l’ormai decennale crisi economica che avvolge il pianeta sembra voler avverare le sue parole. Insieme alle difficoltà economiche, infatti, l’uomo occidentale si è trovato a riflettere sul suo paradigma di sviluppo, divenuto improvvisamente insostenibile. Il bene che ne è conseguito, al momento non sembra così appariscente, rispetto al male, da giustificare appieno quelle parole, cionondimeno il bisogno ci ha spinto ad accogliere un paradigma di sviluppo su cui, fino ai primi anni del nuovo millennio si è spesa tanta retorica ma pochi fatti.
In campo della mobilità l’innovazione si è fatto strada il concetto di sharing, mentre in tante città è riapparsa la bicicletta, per decenni relegata nelle città universitarie di pianura del centro nord.
La bicicletta è stata oggetto di alcune azioni di promozione governative e degli enti locali, soprattutto nell’intenzione di legarla al sistema dei trasporti pubblici, sebbene spesso non in sinergia con un adeguato piano di sviluppo della rete ciclabile.
Le novità più interessanti, tuttavia, si sono sviluppate per iniziativa privata, spesso ad opera di singoli cittadini che, con intuizioni semplici e il proprio esempio, hanno introdotto nella propria comunità piccole rivoluzioni, che poi sono cresciute fino a perdere la connotazione locale.
Il Bike to school
Nel 2015 i genitori di alunni che frequentavano un ristretto numero di scuole romane si organizzano per accompagnare, a turno, a scuola tutti i ragazzi in bicicletta. E’ un’iniziativa privata, informale, come quando ci si accorda tra genitori per accompagnare i ragazzi a scuola o a fare sport, in auto. L’esperimento piace, ai ragazzi e agli adulti, e rapidamente arriva a coinvolgere un numero maggiore di persone e di scuole: negli anni seguenti si diffonde in altre città italiane, mentre iniziano a nascere vere e proprie associazioni e, per la prima volta, diventano partner attivi le pubbliche amministrazioni, dagli istituti scolastici, ai Comuni fino alle Regioni. In alcuni casi la pianificazione e la realizzazione dei servizi legati al bike to school vengono inseriti nel PON METRO 2014-2020, e quindi finanziati con i fondi europei.
Ma in cosa consiste esattamente il bike to school?
L’espressione inglese traduce chiaramente il concetto: sinteticamente si tratta di andare a scuola pedalando in sella a una bicicletta. Trattandosi di percorsi urbani e di ciclisti minorenni (per lo più ragazzi delle scuole medie) l’aspetto più complesso è quello della sicurezza: oltre alla dotazione di legge (casco) ai ragazzi vengono fatte indossare i gilet catarifrangenti, il percorso è prestabilito e a scortare il gruppo ci sono degli adulti, che svolgono la funzione di guida, sempre sui pedali. Può essere utile che abbia in dotazione un fischietto o altri elementi di richiamo.
Il tragitto da casa a scuola viene organizzato come una vera e propria linea di trasporto, con un percorso preciso e prestabilito, in modo da ottimizzare energie e capacità di carico, e vere e proprio fermate, dove i ragazzi attendono l’arrivo del gruppo per unirvisi. Le scuole in genere costituiscono i capolinea, ma se una linea serve più istituti, possono essere esse stesse delle fermate intermedie. In base alle richieste possono essere individuate più linee, in modo da servire più quartieri senza allungare troppo i singoli percorsi.
I primi a beneficiare del bike to school sono i ragazzi delle metropoli, i cui spazi di espressione fisica sono spesso compressi e ben delimitati. Tuttavia, come sottolineano anche i pediatri, il beneficio maggiore è psicologico: i ragazzi si abituano a dover assolvere a un compito (raggiungere la scuola, in orario) con un mezzo (la bici) e seguendo delle regole (codice della strada). L’esperienza rafforza il senso di responsabilità dei piccoli ciclisti e la capacità di essere autonomi, indipendenti. La comunità ne guadagna in aria più pulita e minore congestione stradale durante gli orari di ingresso di uscita dalle scuole.
Il Bike to work
Anche in questo caso l’espressione inglese traduce molto sinteticamente il concetto alla base del bike to work: raggiungere il luogo di lavoro utilizzando come mezzo di trasporto la bicicletta.
Rispetto al bike to school cambia completamente il target: trattandosi di adulti che si recano al lavoro l’attività sarà per lo più individuale, venendo meno il concetto di linea.
Il percorso in sella alla bicicletta sarà, probabilmente, solo un tratto dell’intero tragitto: tranne pochi fortunati, la massa dei lavoratori è composta da pendolari, che ogni giorno percorrono distanze non del tutto compatibili con i pedali. In questo caso l’amata bike esprime le proprie potenzialità in sinergia con i mezzi del trasporto pubblico, treni, autobus, tram e metro, come mezzo che unisce casa – stazione o stazione – casa, o che magari fa risparmiare il tempo delle coincidenze. E’ evidente che la bicicletta del biker to work è del tipo pieghevole, facilmente trasportabile e largamente accettata sui mezzi pubblici senza nemmeno la necessità di acquistare un biglietto a parte.
Organizzare un bike to (something)
Il solo allenamento fisico non è sufficiente (né, spesso, particolarmente necessario) per affrontare su due ruote il contesto urbano: è necessario valutare i percorsi più bike friendly (compito mai banale nelle città italiane), porre particolare attenzione alla sicurezza, soprattutto alla propria visibilità, dotandosi di accessori catarifrangenti e, ovviamente, conoscere la segnaletica stradale (aspetto non banale, anche per gli adulti, non essendo richiesto alcun tipo di patente per la conduzione del mezzo a pedali).
Maggiori informazioni su come impiegare al meglio le biciclette su: www.biketoschool.it